Le emozioni

 

 

 

 Le emozioni

Tratto da “Domande e risposte” di J. Krishnamurti

Domanda: ” Le nostre emozioni sono forti, i nostri attaccamenti sono tenaci: in che modo il fatto di osservarli e di vederli riduce la loro forza e il loro potere?”

Cercando di controllare, di soffocare o di sublimare emozioni e attaccamenti non si risolve in alcun modo il conflitto. Non è vero?
Le nostre emozioni sono veramente tanto forti da essere loro ad imporci come agire?
Prima di tutto, dobbiamo renderci conto di quanto sono forti le nostre emozioni e i nostri attaccamenti. Dobbiamo vederlo, riconoscerlo. 
Quando c’è questa consapevolezza che cosa succede?
Siamo consci di essere attaccati a qualcosa o di essere fortemente scossi dall’odio, dalla gelosia, dall’antagonismo, dalla simpatia e dall’antipatia, senso di colpa..
Queste emozioni prendono il sopravvento e controllano le nostre azioni.
Quando esaminiamo con cura emozioni e attaccamenti, che evidentemente sono molto forti, vediamo che essi agiscono come barriere che impediscono di pensare in modo chiaro, preciso e di agire con ordine.
Ne siamo consapevoli, oppure lo diamo per scontato, dicendo: “Sì, le mie emozioni sono molto forti, i miei attaccamenti sono terribili, ma non importa, è la vita. Pazienza se devo lottare, se devo litigare con tutti?”

Quando diciamo di essere consapevoli, che cosa intendiamo?
Intendiamo: “Lo so, lo riconosco?” E’ il pensiero che riconosce l’attaccamento? Quando dico: “Sì sono attaccato, è il pensiero a dirlo?
Quando dico “sono attaccato” ho a che fare con un’ideo o con un fatto?
Il fatto non è l’idea.
Prendiamo per esempio questo microfono: posso farmene un’idea, ma il microfono è un fatto; lo posso toccare e vedere. Allora il mio attaccamento è un concetto, la conclusione di un ragionamento, oppure è un fatto?
E quando voi osservate il fatto, non l’idea, non la conclusione alla quale siete giunti, ma il fatto stesso, questo fatto è diverso da voi che lo state osservando?
Quando voi osservate il fatto attraverso lo schermo di un’idea, attraverso una conclusione che vi è giunta da qualcun altro, voi non state guardando il fatto.
Se davvero state guardando il fatto non potete tradurlo in parole. Allora, come lo guardate? Come qualcosa che è separato da voi? L’attaccamento è qualcosa di diverso da voi o è parte di voi?
  Il microfono è una cosa separata da voi, ma l’attaccamento, l’emozione sono parte di voi stessi. L’attaccamento, l’emozione è il “me”. 

Perciò la consapevolezza delle vostre emozioni, dei vostri attaccamenti, fa parte della vostra natura, della vostra struttura.  Se osservate voi stessi, vedrete che non c’è divisione, non c’è dualità tra “me” e l’attaccamento o l’emozione.  C’è solo l’attaccamento, l’emozione non come parola, ma come fatto; c’è il sentimento, l’emozione di possedere che rivelano l’attaccamento, il fatto dell’attaccamento, e questo è il “me”.

A questo punto cosa devo fare?
Quando c’era divisione tra me e l’attaccamento potevo provare a fare qualcosa nei suoi confronti, potevo provare a controllarlo, potevo dire a me stesso: “Devo toglierlo di mezzo”; ed è proprio in questo modo che ci comportiamo normalmente.
Ma se tra me e l’attaccamento non c’è alcuna differenza allora cosa mi resta da fare?
Non posso fare proprio niente, posso solo osservare.
Prima agivo nei confronti dell’attaccamento, ma ora non posso più, perché si tratta di me stesso.
Tutto quello che posso fare è osservare.
L’osservazione diventa la cosa più importante, molto più importante di quello che cerco di fare nei confronti di ciò che è osservato.
Dunque c’è osservazione, e non “io che sto osservando”. C’è solo osservazione.
Se in questa osservazione comincio a fare delle scelte, dicendo: “Non devo essere attaccato” allora mi sto già allontanando dal fatto; è come se dicessi: “Io non sono attaccamento”.
Nell’osservazione non c’è nulla da scegliere, non c’è alcuna direzione da prendere, c’è soltanto osservazione pura e assoluta: così quello che viene osservato si dissolve.
Prima opponevo resistenza, cercavo di controllare o di reprimere, volevo fare qualcosa; ora invece tutta l’energia è raccolta in questa osservazione. 
E’ solo quando manca questa energia che c’è attaccamento.
Quando l’osservazione è completa senza che il pensiero interferisca minimamente – perché mai il pensiero dovrebbe intervenire?- voi state semplicemente osservando.
Se osservate le vostre emozioni, i vostri attaccamenti, con la stessa semplicità, tutta l’energia si raccoglierà in questo modo di osservare. Perciò l’attaccamento scomparirà.
….
Provate a farlo e scoprirete! La vostra indagine deve essere molto, molto accurata, così che la vostra mente possa osservare i fatti con estrema chiarezza. 
Sono solo gli incoscienti che si lanciano nell’abisso: nel momento in cui siete consci del pericolo, lo evitate!
L’attaccamento è un pericolo perché genera paura, ansietà, odio, gelosia – essere posseduti da qualcuno o non esserlo- tutto questo rappresenta uno spaventoso pericolo. 
Ma quando vedete questo pericolo, allora agite.