L’ashtanga yoga è adatto a tutti?

ASHTANGA VINYASA YOGA PER TUTTI

Relazione sull’incontro tenuto da Carla Ricci
 Convegno Nazionale Associazione Nazionale Insegnanti Yoga

dal titolo LA PEDAGOGIA DELLO YOGA
Rimini 2011

Mi avevano detto che mi era stata data una sala veramente piccola, con poca aria e mi era stato consigliato di andare in spiaggia a fare la lezione. Scendevo quindi le scale verso la sala con qualche perplessità e con un po’ di timore.                                                             
L’Ashtanga Vinyasa Yoga ha necessità di un pavimento che possa sostenere il corpo in modo allineato (in India si usava preparare pavimenti con sterco di mucca essiccato) e di un ambiente al riparo da colpi d’aria e di sole, visto il calore e il sudore che sprigiona dal corpo. La pratica all’esterno richiede le temperature mattutine dell’estate e l’ombra.  La spiaggia di Rimini, per quanto fosse un ottobre mite, non mi sembrava adatta.                   
Le persone cominciavano comunque ad arrivare e ci si stringeva, alcune distendevano il tappetino in corridoio, fuori della sala, mentre altre rinunciavano per reale mancanza di spazio.  In tanti anni di pratica sono ben abituata ad adeguarmi allo spazio e questo non mi ha impedito di rimanere serena.                                                                                              
Ci siamo seduti per una breve riflessione sulla “pedagogia dello Yoga” e per la  presentazione dell’esperienza che stavo per proporre .

LA PEDAGOGIA DELLO YOGA

Della nostra bellissima lingua amo la storia e soprattutto il legame con la cultura greca e latina quindi la prima cosa che ho fatto nel preparare questo incontro, è stata quella di andare a scoprire il significato etimologico della parola pedagogia. E’ una parola greca nata per indicare lo schiavo che accompagnava i bambini a scuola. Non mi sono soffermata sul termine schiavo  perché pieno di forti riferimenti ad ingiustizia e sofferenza, ma mi sarebbe piaciuto fare un  azzardo,  lasciando le accezioni negative e ricordando l’importanza per tutti noi che insegniamo Yoga, di mantenere questa attitudine di servizio, di umiltà  nei confronti dei nostri allievi, degli altri insegnanti e del mondo che ci circonda.                                                                                                                                        Mettere il termine pedagogia vicino a Yoga significa evidenziare come noi insegnanti  possiamo accompagnare , stare vicino ai nostri allievi  nel percorso che conduce all’ascolto di sé e del mondo. Quindi noi stessi dovremmo conoscere bene questa strada, percorrerla e averla percorsa così tante volte da avere la capacità e la possibilità di proteggere l’altro evitando che possa farsi male, o che magari faccia quegli errori che noi abbiamo già vissuto.  L’immagine dell’allievo come bambino evoca una profonda necessità, da parte nostra, di attenzione, di riguardo, ancora di ascolto.

Ho voluto evidenziare la necessità di una “pedagogia dell’insegnante Yoga”, l’importanza di sentirci a nostra volta bambini che hanno bisogno di essere accompagnati in una formazione che non duri solo tre mesi o tre anni: la formazione e la ricerca di chi insegna Yoga dura tutta una vita e magari oltre…!

L’ASHTANGA YOGA PER TUTTI?

Ho poi parlato del titolo che avevo voluto dare all’incontro (Ashtanga Vinyasa Yoga per tutti) cercando di far capire come per me è stata una piccola provocazione, meglio un paradosso. Non esiste cosa al mondo che sia buona per tutti e tantomeno l’Ashtanga. La natura degli esseri ha notevoli differenze e se siamo attenti ci renderemo facilmente conto di quanto una cosa, un cibo, una parola, un movimento vada bene per una persona in un preciso momento e per un’altra assolutamente no.
Il titolo dell’incontro voleva ricordarci che se il cuore dell’esperienza è il vinyasa, ovvero l’unione tra il gesto e il respiro, poterlo vivere diventa allora semplicemente  possibile .

Se in altri tipi di Yoga l’apprendimento graduale, l’ascolto profondo, il saper lasciar via i risultati e le identificazioni sono veramente importanti, in una pratica così esigente diventano indispensabili.                                                                                                       
Avevo appena terminato di dire queste parole, quando una ragazza ci ha raccontato di come in un ritiro di Ashtanga Vinyasa Yoga aveva percepito tutt’altra energia, l’avevano “aiutata” a fare le posizioni forzando troppo per il risultato e in una posizione  aveva sentito un dolore forte alla spalla.                                                                                                         
Quante volte anche io sono tornata a casa con dolori, più o meno forti, per aver ricevuto “aggiustamenti” sbagliati o per aver forzato troppo! Può accadere, soprattutto nei primi anni di pratica, di pensare che spingere e tirare forzando possa aiutarci nell’allungamento e nell’esecuzione dell’asana.  Nel tempo ci si rende conto che muscoli, tendini e legamenti se tirati in eccesso  ripetutamente per i giorni dei ritiri di Yoga (dove la pratica può diventare una vera e propria performance di prestazione e di “ bravura”), una volta tornati a casa, si accorciano e si ha una sensazione di rigidità e di dolore.

L’Ashtanga Vinyasa Yoga è una pratica di Yoga a cui sono profondamente grata.
Con un  respiro che canta  e  accompagna questi miei movimenti,  tutto si fonde e ti regala l’esserci,  si svelano nuove  realtà di me stessa. Purtroppo le realtà svelate non sono sempre belle e magnifiche come noi vorremmo!
Ogni volta che ci “dimentichiamo di essere unione”, creiamo realtà di separazione, quindi di sofferenza.

LE ASPETTATIVE DELL’INSEGNANTE DI YOGA

In questa pratica l’enfasi è stata messa sull’ sull’esperienza fisica. Ne consegue che se abbiamo aspettative e identificazioni, si canalizzano tutte sulle posture. Può accadere, purtroppo, che chi insegna si carichi di aspettative rispetto alle posizioni eseguite dall’allievo (le stesse che probabilmente vive nella sua pratica) e cominci a “bramare” dei risultati. Spinge troppo se stesso e gli allievi e lì arriva il dolore che, come un dono, ci  indica quanto il corpo vorrebbe essere ascoltato, quanto il nostro vissuto avrebbe bisogno di amorevolezza e perdono.                                                                                                  
La nostra mente ama l’identificazione, ama sentirsi al sicuro in un esistere in quanto migliori, più bravi di (eseguire una postura ad es.), con più allievi …

Guardando meglio vedremo anche che in natura la perfezione è da considerare un’utopia e come al miglior violinista può accadere di sbagliare una nota o di impugnare male l’archetto, così anche per chi come noi ha il corpo come strumento, l’errore fa parte dell’esperienza nonostante le migliori intenzioni.

LA SEQUENZA

Esponendo i vari aspetti di questa pratica, ho ricordato che tradizionalmente in questo stile di Yoga l’insegnante non propone ogni volta una serie di posizioni diverse, la sequenza è sempre la stessa fino a quando non abbiamo imparato ad eseguirla “senza sforzo”, per poi passare ad un’altra sequenza e così via.                                                                                                                                                     Ho voluto enfatizzare la sua similitudine ad un mantra, ad una preghiera “recitata con il corpo”. Ci sono tanti modi di pregare e ad esempio nel Padre Nostro non ci sentiamo di dover riformulare ogni volta il testo. Ci sentiamo “comodi” e grati a chi ha scritto il testo, perfetto in sé.

LA PRATICA

Siamo poi passati all’esperienza pratica.
Tutti conoscevano l’ujjayi pranayama e quindi ho proposto una facile sequenza di cinque movimenti per una prima e semplice esperienza di vinyasa.
Prima di affrontare il primo SuryaNamaskara ho voluto condividere con i presenti almeno due dei tanti aspetti della propedeutica alla pratica: la possibilità di muovere, sollevare e spingere con le braccia senza la contrazione di tutta zona tra le orecchie e la sommità delle spalle, attivando invece le “fasce dei gran dorsali” e gli altri muscoli adiacenti, e l’uso dei piedi che serve ad attivare correttamente i muscoli delle gambe durante l’esecuzione delle posture.

Poi, come se avessimo dovuto eseguire dei passi di danza al ritmo del respiro, ho presentato loro una piccola parte della prima serie, comprendente i due saluti al sole e le prime sei asana, proponendo delle varianti per poter rendere possibili le posizioni a chi avesse avuto problemi fisici o limitazioni dovute alla mancanza di elasticità.

Abbiamo quindi cantato insieme il mantra iniziale e fatto poi l’esperienza di una piccola pratica di Ashtanga Vinyasa Yoga.

Eravamo così vicini che è emersa l’immediata esigenza di attenzione all’altro, di muoversi con gentilezza e senza far male!

L’IMPORTANZA DEL RILASSAMENTO FINALE

Ho concluso con un rilassamento guidato e il suono armonioso della mia campana tibetana ci ha donato pace nel risveglio dell’ascolto.
E’come se tutta la pratica fosse stata finalizzata ad accogliere in un certo modo quel suono magico e perfetto, creare uno spazio libero da “veleni” per vibrare con l’armonia celeste.
Ecco il silenzio emergere nella sua intensità e bellezza.
Pace.

Ci siamo poi seduti con calma, le due ore erano oramai scivolate via.

Carla Ricci